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La diffusione della responsabilità: meccanismi di difesa e soluzioni strategiche

La scorsa settimana, questa rubrica ha proposto una panoramica del fenomeno di diffusione della responsabilità, analizzandone le varianti ed i sottostanti processi psicologici. 

Come è stato evidenziato, le diverse manifestazioni di disimpegno morale sono piuttosto frequenti nelle dinamiche di gruppo. Ciò significa che si presentano normativamente anche in persone senza squilibri psicologici: esistono, infatti, diversi meccanismi di difesa che consentono di preservare l’integrità degli schemi da noi interiorizzati relativi a ciò che è buono e cattivo, desiderabile e riprovevole, anche in presenza di condotte palesemente dissonanti. 

 

Ecco una breve descrizione dei meccanismi di difesa che più frequentemente mettiamo in atto:

  • Giustificazione morale, con cui si legittimano e nobilitano comportamenti di fatto deprecabili, che si pongono al servizio di principi considerati superiori.
  • Etichettamento eufemistico, con cui si opera una minimizzazione verbale che serve a prendere le distanze dagli effetti delle proprie azioni e ad attenuare le reazioni negative che esse potrebbero suscitare.
  • Confronto vantaggioso, con cui si paragona la propria condotta a quella degli altri, per sfruttare a proprio vantaggio alcune caratteristiche negative del comportamento altrui e pervenire all’autoassoluzione. 
  • Spostamento della responsabilità, con cui si reclama l’impunità, attribuendo ciò che si è fatto alla presenza di ordini o richieste pervenuti dall’alto.
  • Deresponsabilizzazione, con cui ci si ritiene esonerati dal fare ciò che è dovere di tutti.
  • Sottovalutazione e distorsione delle conseguenze, con cui si minimizzano o negano i risultati negativi prodotti con il proprio comportamento. 
  • Colpevolizzazione della vittima, con cui si giunge ad attribuire ai destinatari della nostra condotta la responsabilità di averla causata.
  • Svalutazione e deumanizzazione, con cui si afferma l’inferiorità dell’altro, che può così divenire oggetto di ogni tipo di sopraffazione. 

Quando questo fenomeno diminuisce

Per quanto la diffusione di responsabilità sia un fenomeno pervasivo, sono state individuate condizioni in cui esso diminuisce o, addirittura, lascia spazio ad un effetto opposto: il social labouring, ovvero l’orientamento alla produttività di gruppo, già riscontrato da Triplett nell’esperimento con i ciclisti. Tali condizioni sono sintetizzabili in quattro elementi fondamentali:

  • La complessità del compito; quanto più il compito è complesso e significativo, tanto più l’impegno profuso è maggiore.
  • La disomogeneità delle competenze possedute dai membri del gruppo; importante è che sia di tipo qualitativo e non quantitativo.
  • L’importanza psicologica del gruppo per i suoi componenti; se l’appartenenza ad esso favorisce la costruzione dell’identità personale, la partecipazione alle attività sarà più propositiva.
  • La prevalenza di valori collettivistici rispetto a quelli individuali, come accade in modelli culturali come quello del Giappone.

La diffusione della responsabilità e la diminuzione dell’impatto negativo sul lavoro

In definitiva, è possibile individuare alcune buone pratiche tese a diminuire l’impatto negativo dei fenomeni legati alla diffusione di responsabilità sulla produttività:

  1. Rendere identificabile, e premiabile, l’impegno individuale, ad esempio definendo specifici obiettivi individuali e collettivi, e controllando regolarmente il loro raggiungimento.
  2. Attribuire obiettivi ben definiti, temporalmente vicini, significativi e sfidanti, anziché obiettivi confusi, distanti, poco importanti o troppo semplici.
  3. Promuovere l’orgoglio e l’identità di squadra, utilizzando tutto ciò che può favorire l’identificazione (storia comune, rituali organizzativi, mitologia organizzativa).
  4. Consentire ai componenti del gruppo di scegliere il proprio ruolo.
  5. Sollecitare l’espressione di creatività e l’assunzione di rischi calcolati.
  6. Organizzare sistematicamente riunioni e incontri individuali, per comprendere e fronteggiare eventuali cadute motivazionali.

Ciascuna di queste buone pratiche evidenzia come i gruppi migliori non siano necessariamente quelli i cui componenti possiedono le competenze più raffinate, bensì quelli che possono contare sulle migliori interazioni tra i membri. 

 

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